Poeti maledetti, poeti benedetti


Il quartiere romano di Serpentara


Si può affermare che la poesia nel XXI secolo sia morta? Nient’affatto, sono solo cambiati i volti dei poeti, il modo di farla e il contesto, gli argomenti restano.
Buona parte della poesia del passato, dall’epica classica antica alla poesia italiana del Duecento e ai madrigali petrarcheschi, era accompagnata dalla musica, basti pensare alle centre degli aedi omerici o ai nomi stessi delle liriche composte dai poeti Stilnovisti: sonetti, canzoni, ballate. Oggi si ha un concetto diverso di poesia, si separa quest’ultima dalla musica; si considerano le canzoni dei gruppi e dei cantautori come un mondo diverso e lontano dalla poesia, quella destinata alla pubblicazione di raccolte poetiche, alla lettura individuale o alle presentazioni in libreria. Ciò significa che la poesia in musica è oggi scomparsa? Ritengo che la risposta sia negativa, poiché sono convinto che la poesia non si ascolti solo nei circoli culturali legati a biblioteche, fondazioni o librerie e neppure che la produzione artistica in versi sia affidata esclusivamente a grandi intellettuali o a “spiriti eletti”, quali sono i poeti; sono convinto che sia poesia ogni forma espressiva che nasce dall’impeto creativo di un artista, capace di trasformare i suoi pensieri in versi, siano essi lirici o violenti. I cantautori italiani, ad esempio, sono tutti poeti, basti pensare a De Andrè o Lucio Dalla, a Branduardi o Vecchioni, a De Gregori o Zucchero; non a caso negli anni scorsi il premio Nobel per la letteratura è stato assegnato (non senza qualche polemica!) a Bob Dylan, noto cantautore statunitese: la giuria ha decretato che le sue canzoni sono poesia in musica. Per i ragazzi della mia generazione anche i cantanti RAP possono essere considerati poeti: nei loro testi i nuovi poeti ci raccontano i loro drammi quotidiani, denunciano le ingiustizie e ci confidano del loro cuore dilaniato dall’amore, tanto quanto fecero Cavalcanti, Parini e Petrarca.
In una canzone intitolata Malapoetry XXI, all’interno del ritornello, sono loro stessi, gli autori del brano,  a definirsi poeti maledetti, a voler sottolineare il legame con i loro predecessori tramite il primo termine, rimarcando tuttavia la differenza da essi con il secondo.
Perché maledetti? Perché scrivono degli ultimi, degli sconosciuti, dei quartieri dove la criminalità ha sostituito lo stato e danno voce a chi non può averla. Parlano della bontà che trovano nei contesti più difficili, come un fiore bellissimo in un campo di battaglia.

 “Ancora ti urlo in faccia, mettiti l’anima in pace,
  strillo sui pezzi perché devo dare la voce a chi tace[…]”
           (da “Fuori di qua”di Gemitaiz)

I testi sono altamente soggettivizzati e autobiografici, quindi spesso si potrebbe avere l’impressione che l’artista cada in autocelebrazione, al contrario credo che sia una strategia utilizzata volutamente per enfatizzare le sofferenze e i problemi, al fine di conferire veridicità alle parole pronunciate. Spesso tali poeti maledetti nascono e vivono negli stessi contesti sociali di cui parlano nei testi. Raccontando perciò la loro storia, si fanno portavoce di tutto un quartiere o di una situazione di disagio e infelicità. Il celebre artista romano di Serpentara Gemitaiz in un suo brano, intitolato Quando mai, critica fortemente la società che emargina i deboli, deforma e plasma le persone al bisogno.

                                                  “Alle elementari a me non me l’hanno spiegato                                                                                      che il posto dove sono nato mi avrebbe piegato”                                                                                            (da “Quando mai” di Gemitaiz)                                             

I primi album di Marracash, uno fra i primi esponenti del genere rap in Italia, sono invece caratterizzati da un forte impegno sociale. Nei testi egli ricalca ampiamente tutti gli argomenti tipici del rap odierno: critica della società, alla politica, alla corruzione e alle ingiustizie, poiché egli ha vissuto nel quartiere milanese di Barona per tutto il periodo dell’adolescenza, a stretto contatto con queste tematiche.

                                                           “Qui non c’è il mito di chi si è fatto da solo                                                                                                                       Perché chi si è fatto da solo è corrotto[…]”                                                             (da “Sabbie Mobili” di Marracash)

Provengono da contesti difficili, sono immersi nei vizi e dimenticati da Dio, allora cosa c’entra la benedizione con tutto questo? Nonostante tutte le avversità che quotidianamente vivono, nonostante tutte le difficoltà dalle quali sono circondati, riescono a parlarne con il linguaggio della poesia. Quando scrivono cessano di essere maledetti e sublimano in una forma più soave ed elegante di poeti benedetti, si esprimono con un linguaggio alto e persino le scurrilità diventano argomento di ricerca letteraria, perché non sono solo espressione futile ma un vero e proprio impeto di rabbia, in questa chiave di lettura, ritengo pertanto ritengo che possano essere artisticamente comprese e compresi gli artisti stessi e i testi da loro interpretati alla stregua di poesie.

Formentin Andrea

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