FONTAMARA


Il libro, scritto non solo dall’autore ma anche dalla famiglia di Giuva, descrive alcune vicende accadute in un paese inventato nella Marsica, abitato per lo più da “cafoni”, semplici e poveri contadini ignoranti, costretti a subire soprusi dalle persone più potenti di loro.
Il primo episodio che spezza la monotonia della vita in questo paese è la sospensione dell’erogazione della corrente elettrica dovuta al fatto che a Fontamara, data l’estrema povertà, nessuno più riesce a pagare le bollette della luce ed ormai nessuno si azzarda più a pretenderne la riscossione per timore di ricevere maltrattamenti. Il paese riceve negli stessi giorni la visita di un forestiero che garantisce ai cafoni di non essere venuto a riscuotere alcun denaro ma li esorta ad apporre la loro firma su un foglio bianco e loro, solo perché è gratis, decidono di farlo.
Ben presto capiscono però che queste firme sono solo un inganno e che servono ad autorizzare un Impresario molto ricco a deviare le acque che irrigano i campi di Fontamara nelle sue proprietà. Le loro vivaci proteste non sortiscono alcun effetto e subiscono anche i raggiri da parte di chi si dimostra all’apparenza loro amico.
Lo stesso don Circostanza è l’artefice dell’inizio delle disgrazie di Berardo Viola, al quale l’autore dedica molto spazio,trattandosi del portavoce del popolo, uomo sfortunato ma coraggioso. Berardo, con l’intento di trasferirsi in America per cercare fortuna, vende per una cifra irrisoria a Don Circostanza un pezzo di terra ereditato da suo padre, quando già è in vigore la legge contro l’emigrazione, che lui non conosce, e che l’acquirente volutamente gli nasconde. Berardo si trova così senza terra e senza lavoro, condizione questa che non gli consente di sposare Elvira, ragazza amata da tempo.
In seguito Berardo riesce ad ottenere un pezzo di terra in montagna che grazie al suo instancabile impegno trasforma da arido e brullo in coltivabile; purtroppo un’alluvionelo distrugge.
Nel frattempo nel paese si sparge la voce che ad Avezzano si discute su come dividere la terra del Fucino, la più fertile della zona, e proprio per questo tutti i cafoni dei vari paesi sono invitati a partecipare alla riunione. Giunge infatti a Fontamara un signore che prima di caricarli sul camion che li porterà ad Avezzano li invita a prendere con sé anche lo stendardo del paese. Arrivati a destinazione aspettano ore ed ore seduti nella piazza e solo al passaggio di alcune persone importanti sono incitati ad alzarsi ed a urlare grida in loro onore. Alla fine della giornata capiscono l’inganno: loro non sono stati chiamati a discutere e prendono atto che le terre vengono assegnate solo ai contadini più ricchi.
Anche durante il tragitto, compiuto a piedi quotidianamente per far ritorno al Paese, incontrano un’altra insidia che solo all’ultimo riescono ad evitare grazie ad un signore che dice loro che la persona disposta a fornirgli le armi per combattere le persone ricche non è altro che un poliziotto pronto ad incastrarli.
Il giorno successivo al loro rientro, mentre loro sono nei campi a lavorare, arrivano a Fontamara dei forestieri che violentano alcune donne, che invano tentano di difendersi. Appena i cafoni vengono a conoscenza dell’accaduto, picchiano i forestieri messi in fuga dalla visione di una figura che a loro sembra essere la Madonna.
Sempre più stanchi ed infelici i cafoni devono subire anche un raggiro, questa volta da parte del Governo, rappresentato da Don Circostanza, che riduce del 60% i compensi per il duro lavoro da loro svolto in campagna. Tra i lavoratori che ricevono una misera paga c’è anche Berardo che, stanco e sfiduciato per aver sempre lottato inutilmente a difesa dei propri diritti, ora si rassegna, consapevole di dover lottare contro un nemico più forte di lui; decide allora di non appoggiare i suoi amici pronti alla ribellione e di partire per Roma, insieme al figlio dello scrittore, per cercare lavoro. In questo momento Berardo ha come obiettivo di lavorare, accumulare un po’di soldi per comprare della terra e riuscire così a sposare Elvira.
A Roma però si scontra con una dura realtà: i disoccupati sono molti, gli uffici di collocamento pongono diversi ostacoli burocratici ed inoltre le informazioni negative sul suo conto, fornite dall’Impresario, non gli consentono di trovare lavoro.
Quando il progetto di Berardo sembra ormai fallito, gli giunge la notizia della morte di Elvira. Per Berardo la vita ormai non ha più senso, ma l’incontro con l’Avezzanese, un giovane impegnato nella lotta antifascista, determina una svolta decisiva nel suo destino.
Insieme all’Avezzanese viene arrestato e, condividendo la stessa cella, sviluppa con lui un intenso dialogo che gli consente di mutare il suo ribellismo istintivo in idee politiche precise, partendo dalla consapevolezza della propria condizione di classe sociale.
L’Avezzanese vorrebbe che Berardo diventasse la guida politica dei cafoni, ma Berardo compie un gesto imprevisto: al Commissario di Polizia si autoaccusa di essere colui che tiene viva nei paesi la resistenza al fascismo. Torturato perché riveli i nomi dei suoi complici, Berardo si suicida. Diventa quindi un simbolo per i Fontamaresi che nel loro giornale denunciano l’assassinio di Berardo ed i soprusi da loro subiti da parte dell’Impresario e dai notabili.
Il Regime Fascista non tollera questa voce d’opposizione e manda una squadra della Milizia a Fontamara con il compito di radere al suolo il paese. Molti vengono uccisi ma c’è anche chi riesce, come la famiglia dello scrittore, a trovare rifugio all’estero.

Commento
Ho apprezzato questo capolavoro di Silone che, grazie a una trama lineare ma dinamica, con l’uso di un linguaggio semplice, descrive la situazione della popolazione della piana abruzzese del Fucino durante il periodo fascista. Man mano che il racconto si sviluppa non è possibile non schierarsi e non condividere la rabbia e la rassegnazione, senza possibilità di uscita, di questa gente povera ed ignorante che, proprio per questo, è in balia degli uomini di potere.
Il sentimento dominante trasmesso al lettore è la tristezza, in quanto i “cafoni” si trovano sempre in trappola, perché non posseggono strumenti per ribellarsi e poter far valere le proprie ragioni, se non facendo ricorso alla violenza, anche se questa viene sempre repressa.

Autore: Ignazio Silone
Prima Edizione: Zurigo, 1933 (pubblicato in lingua tedesca)
Genere : Romanzo storico e di denuncia sociale

Marco Favetti 5F

Previous Recensione di Lettera al padre, di Franz Kafka
Next Il Fu Mattia Pascal

No Comment

Leave a reply

Il tuo indirizzo email non sarĂ  pubblicato.