Le misure minime nella pesca



L’attività ittica in Italia è sicuramente uno dei settori più importanti, nonché uno tra i più caratterizzanti del nostro popolo.

In passato, i nostri predecessori erano molto attaccati a questa attività, basti pensare che molte tra le più celebri località costiere italiane, nacquero in origine come villaggi di pescatori che sfruttavano il pesce come fonte di sostentamento e di guadagno. I nostri mari, infatti, sono sempre stati tra i più floridi del mondo e questo con l’avvento dell’industria ha purtroppo fatto accrescere nelle persone la bramosia di pescare pesce in maniera incurante, finendo per abusare del mare fino a metterlo in ginocchio.


Per fare un esempio, il Mediterraneo è, ad oggi, il mare più sovrapescato al mondo ed oltre il 40% del pesce pescato non sarebbe a norma di legge.
Ciò nonostante ogni anno le coste della nostra penisola vengono assalite da migliaia di pescatori, i quali, non abitando al mare, non ne sono attaccati emotivamente e sono solo interessati a portare a casa la cena.


In aggiunta molti di questi, per lo più neofiti e sprovveduti, non pescano eticamente, andando a colpire il fragile equilibrio marino.
Per questo motivo, a partire dal 1968, in Italia sono state istituite delle misure minime al di sotto delle quali non è possibile prelevare il pesce, indipendentemente dalla metodologia con cui questo viene pescato.


Queste misure minime sono state corrette nel corso degli anni e tuttora vengono aggiornate, al fine di tutelare sempre di più le specie maggiormente a rischio.
La misura in esame non è altro che la lunghezza totale del pesce dalla punta del muso fino alla terminazione della coda, misura che non è altro che la traduzione dell’età del pesce e che determina dunque il periodo di attività sessuale e riproduttiva a seconda della specie. Ne consegue che se un pesce viene pescato regolarmente, al raggiungimento della misura normata, questo avrà avuto modo di procreare diverse volte e di conseguenza la sua cattura non andrà ad impattare rovinosamente sull’ecosistema. Stessa normativa è stata adottata anche per la tutela di molluschi e cefalopodi per i quali è prevista una taglia specifica in termini di grammatura, la quale, se rispettata, riduce davvero al minimo l’impatto sull’ambiente in quanto alcune specie come polpi e calamari muoiono a seguito della riproduzione e andrebbero quindi “sprecati”.

Il paradosso è che, anche nel recente passato, non sono stati pochi i casi in cui grandi mercati ittici mettessero in esposizione per la vendita pesci di misura inferiore a quella minima e questo perché, a detta dei commercianti, esso era stato pescato in zone del mondo non soggette a restrizioni.
Per far fronte al problema della pesca di pesce sotto misura, inoltre, sono state istituite multe e sanzioni non di poca importanza; si rischia fino a 2 anni di reclusione e multe fino a dodicimila euro, oltre al sequestro dell’intera attrezzatura.


Siamo arrivati tardi e ora dobbiamo impegnarci per rimediare agli errori commessi in passato.
Abbiamo il pallino nelle nostre mani e ognuno di noi deve fare la sua parte, non ultimi tutti coloro che con spensieratezza acquistano pesce a prezzo stracciato senza pensare al motivo di quel prezzo, legato a metodi di pesca tutt’altro che sostenibili.


Domandiamoci: che mare vogliamo lasciare alle generazioni future?

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