Casa Morandi: tra passato e presente

Nelle giornate del 23 e 24 marzo 2024, Casa Morandi, a Saronno, è stata uno dei beni protagonisti delle giornate di Primavera organizzate dal FAI (Fondo Ambiente Italiano), alle quali sono stati invitati a collaborare giovani apprendisti ciceroni come noi. Casa Morandi è uno dei maggiori centri culturali di Saronno; ora biblioteca civica, possiede in realtà una storia lunga e tortuosa che ripercorre i secoli e intreccia storie di vite ordinarie, simbolo di un passato da non dimenticare.  Obiettivo del FAI è proprio quello di valorizzare e far conoscere a più persone possibili la fitta rete di beni che fanno parte del patrimonio culturale del nostro paese, spesso poco considerato e trascurato. 

In questo articolo, abbiamo pensato di rivivere con voi il percorso di visita da noi predisposto e mostrarvi aspetti di Casa Morandi che forse non conoscevate. 

Una collocazione non casuale 

Ci troviamo in un crocevia di grande importanza storica, già rilevante in epoca romana, dove si incontrano la strada Varesina e la Saronnese, quella che collega Saronno e Legnano passando per Uboldo. Originariamente, qui, al posto dell’attuale Santuario, sorgeva una cappellina con un’icona della Vergine molto venerata dai saronnesi. Questo luogo era collegato al borgo di Saronno tramite un sentiero, trasformato nel 1520 in un viale alberato grazie agli investimenti del saronnese Antonio Reina. Nel 1620 nacque una disputa tra i discendenti del Reina e i Deputati del Santuario sulla proprietà del viale, che nel 1621 venne assegnato ufficialmente al Santuario. Nel 1631 fu allargato e abbellito con nuovi olmi e panchine in pietra. Il viale rimase rilevante fino alla fine dell’800, quando la costruzione della ferrovia lo divise in due. La società ferroviaria pagò un affitto per l’attraversamento del viale fino al 1927, quando, su ordine del governo fascista, la parte iniziale fu demolita per fare spazio al Monumento ai caduti della Grande Guerra e si realizzò il sottopassaggio ferroviario. Oggi rimane, pertanto, solo poco più di metà del viale originale. 

Una storia lunga secoli 

La storia di Casa Morandi è, quindi, strettamente connessa a quella del Santuario a lei adiacente. La costruzione e la gestione di quest’ultimo erano state affidate ad un gruppo di saronnesi (i “Deputati“), che, per fornire maggior sicurezza al Santuario e ampliare i suoi possedimenti, acquistarono nel 1562 un terreno lì vicino e vi costruirono un casolare con annessa una vigna. Ben presto i Deputati si resero conto che la costruzione di un’osteria, al posto del casolare, avrebbe fruttato loro un doppio guadagno: si sarebbe mantenuta la funzione di controllo e messa in sicurezza del Santuario, ma ad essa si sarebbe aggiunto anche un vantaggio di tipo pecuniario. In soli tre anni apriva i battenti l’osteria Al Segno dell’Angelo. Il primo documento in nostro possesso riguardo al caseggiato è un inventario risalente al 1619; nell’inventario si parla della presenza di fienili, stalle, un pollaio, un porcile e un pozzo, tutti racchiusi in un cortile recintato. Per quanto riguarda l’osteria, sappiamo che si sviluppava su più piani e aveva una sala da pranzo, una cantina, dei servizi, una cucina e le stanze degli ospiti. Di vitale importanza erano anche i terreni circostanti la proprietà, dove si coltivavano castagni, gelsi, meli, ciliegi e albicocchi. Nel 1623 venne, inoltre, ampliata la stalla e aggiunta la nevera, strumento importantissimo per la conserva dei cibi. L’osteria possedeva anche tre entrate: una presso il viale del Santuario, una presso la via Varesina e una presso la strada che proveniva da Uboldo. I principali frequentatori erano sicuramente i pellegrini, che si recavano in visita al Santuario, ma anche i mercanti che accedevano al famoso mercato cittadino e i messaggeri. L’osteria, infatti, dal Cinquecento assunse anche la funzione di stazione di posta, ovvero un luogo che forniva appoggio e riparo ai viandanti durante le lunghe tratte. I corrieri potevano quindi cambiare il proprio cavallo, ormai stanco, con una cavalcatura nuova, oppure rifocillarsi e riposarsi nelle camere dell’osteria. È proprio la figura dell’oste ad impersonare questo incarico, diventando “Mastro di posta“, ruolo a tutti gli effetti di funzionario statale. L’osteria mantenne questa funzione fino all’arrivo della ferrovia, che velocizzò la consegna di lettere e missive, rendendo desueta e poco funzionale la posta a cavalli.

La figura dell’oste

La carica di oste veniva affidata attraverso un concorso pubblico bandito dal Santuario. L’osteria veniva aggiudicata al candidato che avesse fatto la migliore offerta e avesse rispecchiato le caratteristiche necessarie sia per diventare oste, sia per diventare Mastro di posta: proprio con questo metodo, nel 1745, Giuseppe Morandi si aggiudicò l’osteria. È proprio grazie a Giuseppe Morandi che Casa Morandi assunse il suo nome. Infatti, nel 1763, il Santuario concedette a Morandi un contratto in enfiteusi, che rendeva la famiglia unica affittuaria in perpetuo dell’osteria e, nel 1864, addirittura proprietario dell’intero complesso. La proprietà passò quindi di generazione in generazione fino ad arrivare all’ultimo Morandi che la ebbe in possesso, ovvero l’Ing. Giovanni Morandi. Quest’ultimo, alla sua morte, la cedette all’Ospedale Maggiore di Milano perché vi edificasse un ricovero per gli ammalati. Purtroppo, alla fine, la proprietà non venne utilizzata e cadde in uno stato di abbandono fino al 1965, quando venne acquistata dal comune di Saronno. Quest’ultimo procedette con un restauro e con la conversione di Casa Morandi, nel 1988, a Biblioteca civica e centro culturale cittadino, con annesso Teatro dedicato alla cantante lirica saronnese Giuditta Pasta.

La nevera 

La Nevera è una struttura simile a una ghiacciaia usata per conservare cibi deperibili a basse temperature. Costruita nel 1623-1624, consisteva in uno scavo rivestito di mattoni, riempito di neve pressata nei mesi invernali, con il fondo in ghiaia per il drenaggio dell’acqua ottenuta dalla fusione del ghiaccio. Inizialmente coperta con una tettoia di legno, fu ampliata nel 1636 con una cupola ottagonale che migliorava la conservazione del freddo creando una campana d’aria. Come emerge anche da alcuni passi dei Promessi sposi, le osterie erano luoghi molto frequentati dove si poteva mangiare, bere e dormire, fondamentali per i viaggiatori che non potevano proseguire il loro cammino di notte. Offrivano stanze da letto e ristoro; in caso di mobilitazioni di eserciti servivano anche come residenze temporanee per i soldati di alto rango.

Un talento saronnese 

Casa Morandi, oltre ad essere biblioteca civica, custodisce anche un tesoro poco conosciuto ma non per questo trascurabile: i teleri del Legnanino. All’interno della sala principale della biblioteca sono infatti appese alle pareti quattro lunghissime tele, testimonianza di un genio artistico che ha segnato il Settecento lombardo, e non solo. 

Stefano Maria Legnani, detto il Legnanino, nasce il 6 aprile 1661 a Milano da una famiglia di origine saronnese. In particolare, il padre e prima di lui il nonno, furono pittori, professione poi portata avanti dal Legnanino e dal fratello. A soli due anni dalla sua nascita, nel 1663, la famiglia si trasferisce di nuovo a Saronno, dove il Legnanino trascorre l’infanzia e la prima giovinezza. Il pittore, sebbene operi spostandosi tra Milano, Novara, Torino e Genova, mantenne sempre un legame con il borgo d’origine, soprattutto grazie al proprio matrimonio, avvenuto nel 1684 con la saronnese Caterina Sanpietro. Il suo primo apprendistato avviene a Bologna, nella bottega del Cignani, da cui il Legnanino riprende la dolcezza dei tratti dei volti infantili e femminili e il ciuffo sulla fronte dei suoi putti e angiolotti. La seconda formazione possiamo affermare che avvenga a Roma, dove impara a cercare ispirazione per le sue opere nella letteratura, si appassiona alle architetture dipinte e impara a dare equilibrio alle proprie opere sfruttando i vari piani di profondità.

 

Le “avventure” dei teleri

La storia dei teleri ha inizio in un elegante palazzo milanese in zona Porta Ticinese, Palazzo Arconati Visconti, poi Calderara Brambilla. Il palazzo era una delle dimore più eleganti della Milano dell’epoca e fu acquistato dal Marchese Antonio Calderara in occasione delle sue nozze. I teleri furono dipinti per il fregio del salone principale del palazzo. L’edificio fu successivamente vittima dei bombardamenti durante la Seconda Guerra Mondiale, ma i teleri si salvarono miracolosamente grazie a qualcuno che li arrotolò e li portò via, ritornando sul mercato antiquario solamente nel 1987 e in pessime condizioni. Fortunatamente fu offerta al comune di Saronno la possibilità di acquistarli e riportarli nel paese di origine del loro creatore, salvandoli da un destino incerto. Il comune li acquistò per circa cento milioni di lire, li restaurò e li posizionò dove si trovano ancora oggi. Il ciclo di quattro teleri, lungo oltre 35 metri, raffigura il mito della principessa Arianna di Creta, sorella del Minotauro. Arianna, innamorata di Teseo, destinato ad essere dato in pasto al Minotauro, lo aiutò a uccidere la bestia e a fuggire dal labirinto, tradendo la sua famiglia. Il ciclo sembra riferirsi al testo “Metamorfosi” di Ovidio, ma leggendolo notiamo chiaramente come nei dipinti vi siano molti più personaggi.  Questo è testimonianza di un classicismo di ricezione, tecnica adottata dall’autore che porta a fare una sintesi di elementi provenienti da più riferimenti. Il Legnanino si ispira, infatti, a diverse fonti, tra cui un trattato di Boccaccio, la traduzione delle metamorfosi di Ovidio ad opera di dell’Anguillara e un testo iconologico di Cesare Ripa, oltre a stampe di opere famose. Tutti i teleri condividono alcune caratteristiche comuni: un perfetto bilanciamento tra struttura dipinta e figure, con putti o amorini ai lati e le figure principali al centro. Inoltre, i panneggi sembrano mossi da un filo di vento e vi è un uso attento del chiaroscuro per distinguere le figure e creare effetti di luce e penombra che differenziano lo sfondo dai personaggi.

Bacco e Arianna: un mito senza tempo

Nel primo telero troviamo Arianna addormentata mentre Teseo fugge con Fedra, sorella minore della ragazza. Cupido accompagna i fuggitivi e la personificazione del Sonno veglia su Arianna.

Nel secondo telero troviamo Arianna che sembra rifiutare Bacco, molto probabilmente per il tradimento appena subito. Bacco viene riconosciuto per il suo abbigliamento e le tipiche figure che lo circondano come le menadi con i tamburelli, i satiri e la pantera, simbolo dei numerosi viaggi in Oriente. Nel telero abbiamo anche la figura di Flora personificata, portatrice di rinascita, anch’essa rifiutata da Arianna.

Nel terzo telero il dio Bacco si rivolge a Venere, dea dell’amore, implorandola per ottenere l’affetto di Arianna. La dea è attorniata da un amorino, probabilmente Cupido, e tre figure femminili, quasi sicuramente le tre Grazie. Venere si trova sul suo carro a forma di conchiglia trainato da due colombe, uccelli considerati sacri alla dea poiché amoreggiano tutto l’anno e perché il maschio, prima di unirsi alla femmina, la bacia, proprio come fanno gli innamorati.

 

Il quarto telero rappresenta le nozze di Bacco e Arianna, che indossa un elegante abito damascato. La dea Venere porge alla sposa una corona di stelle, non circolare, ma a forma di ferro di cavallo proprio per riprendere la forma della costellazione della Corona Boreale. Leggenda narra, infatti, che la corona sia stata data in dono alla fanciulla e che poi Bacco l’abbia lanciata nel cielo, trasformandola nella costellazione.

 

Si conclude così la nostra riflessione su Casa Morandi, un bene ricco di storia ma anche ben ancorato nel presente. Un luogo dove tradizione e modernità si fondono indissolubilmente, raccontando una storia lunga secoli.

 

A cura di Ielmini Ludovica e Trotti Giacomo 

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