UN ANNO VISSUTO INTENSAMENTE


Quando uno studente deve decidere se passare un periodo di studio all’estero, che sia un semestre o l’intero anno scolastico, sicuramente una delle motivazioni che lo spinge a optare per la scelta affermativa è il voler migliorare la conoscenza di una seconda lingua. Ma cosa spinge un adolescente a lasciare un contesto conosciuto per recarsi verso l’ignoto? Sicuramente c’è la volontà di abbandonare quella che sembra essere una monotona routine, per gettarsi in qualcosa di totalmente nuovo, per andare a scoprire una parte di sè, delle skills, che ancora non si conoscono. Dopo il ritorno tutta la realtà che era stata abbandonata qualche mese prima torna a stupire perché filtrata da occhi diversi e da uno spirito nuovo.
La mia avventura irlandese è iniziata un venerdì di fine agosto 2018 con un volo diretto per Galway, dove atterrai durante una tipica giornata uggiosa irlandese. Una leggera ‘drizzle’, una ‘pioggerella’, impreziosiva l’aria lasciando scivolare delle sottili goccioline sul giubbotto. La mia host family abitava, e tuttora abita, in un paesino di provincia, Oughterard, situato vicino alla piccola e colorata città di Galway, resa celebre da Ed Sheeran con il suo singolo Galway Girl.

I primi giorni furono magnifici. Lontana da casa, un mondo diverso da esplorare, tante persone nuove da conoscere. Poi, con il tempo sopraggiunsero la noia e la paura. Non ero lì per un’allegra vacanza di una settimana, ma per un anno scolastico, che mi avrebbe posto davanti a situazioni nuove e inaspettate. Di conseguenza i primi mesi passarono lentamente, con un continuo tentativo da parte mia di ambientarmi in una cultura diversa.
Pioveva continuamente, quasi ogni giorno, più volte al giorno. Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, nessuno usava gli ombrelli, ma si proteggeva con impermeabili, oppure, soluzione più comune, non si usciva di casa.
Il primo luogo dove mi fu possibile comprendere le abitudini e i tratti peculiari degli Irlandesi fu la scuola. Quando mi fermavo nei corridoi a parlare con alcuni dei miei nuovi compagni, mi parlavano delle loro abitudini e del loro stile di vita. Al termine delle lezioni la maggior parte di loro praticava almeno due sport. Tra i più in voga vi sono sicuramente il basket, il calcio, il rugby e il gaelic football, uno sport che coniuga le regole del calcio e della pallamano. Nonostante tutta questa praticata sportiva, gli stessi abitanti dell’isola si autodefiniscono ‘laid-back’, alla lettera ‘rilassati’, ‘disinvolti’. Basti pensare al fatto che la scuola inizia alle 9 e che un comodo scuolabus passa a prenderti direttamente sotto casa.
Frequentavo il quinto anno (che all’incirca corrisponde al nostro quarto anno), presso la St. Paul’s Secondary School, una scuola superiore che contava all’incirca 400 studenti. Sul modello della scuola americana, agli studenti è possibile scegliere le materie che si vogliono studiare e portare all’esame di stato finale, il quale consiste nello svolgere uno scritto per ogni materia scelta. Forse una delle più grandi pecche era il doversi fermare a scuola per il pranzo, che per la maggior parte degli studenti consisteva in cibo non molto salutare, come sandwiches, pacchetti di snacks e barrette di cioccolato.
Molto apprezzato, a livello locale, come ho già anticipato è lo sport. Non è raro trovare gare podistiche, tra cui anche maratone e mezze maratone, che oltre a essere motivo d’incontro per i corridori di tutta Irlanda, sono anche un mezzo per raccogliere fondi di beneficenza. Ogni sabato mattina i runners locali si riunivano al parco per una corsa in compagnia e per discutere della settimana appena trascorsa dopo aver praticato dell’attività fisica. In un contesto così socievole, non era difficile trovare degli amici, e anch’io, trascinata da un entusiasmo comune, mi dedicai volentieri a questa salutare attività.
Poi come non dimenticare le lezioni di arte. Ogni giovedì, dopo la scuola, mi recavo insieme ad altre amiche presso lo studio di Doirin e lì passavamo due ore immerse nel mondo della pittura e dei colori a olio. Puntualmente, nonostante indossassimo dei grembiuli, ci riempivamo involontariamente i volti e i vestiti di sporadiche macchie che la nostra insegnante ci faceva notare nel momento in cui sedevamo con lei per il the delle sei.
Per continuare l’alternanza scuola lavoro iniziata in Italia, mi guardai intorno in cerca di occasioni e la trovai vicinissima a casa. Il mio vicino era un apicoltore e mi prese più che volentieri come aiutante, mostrandomi le diverse fasi che portano alla produzione di un vasetto di miele, dal momento della smielatura al confezionamento.
Grazie alla sua famiglia conobbi inoltre le volontarie di un’associazione che si occupa di fornire pasti caldi agli anziani durante l’ora di pranzo, e insieme a loro entrai a contatto con una parte più tradizionale dell’isola, in quanto, ogni volta che mi ritrovavo all’interno di un’abitazione, arredata con mobili e suppellettili d’epoca, mi sembrava di fare un salto indietro nel tempo di almeno 70 e passa anni.
Sull’isola di Inis Mor, dove ancora si parla l’antico gaelico, il mio amico Paul mi narrò dei miti celtici e dei riti di passaggio di questa civiltà. Nella società contemporanea tali riti sono sostanzialmente scomparsi e come più di un autore evidenzia i giovani non riescono a “crescere” e a diventare adulti.
Oggi posso dire che questo anno è stato per me un rito di passaggio. Non solo mi ha aiutato a capire come reagire alle difficoltà senza abbandonarmi alla disperazione, ma mi ha permesso di acquisire autonomia, indipendenza, soprattutto nelle scelte che mi si pongono davanti.

ERIKA AIRAGHI V B

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