Storia di un Maestro del ‘900 Italiano, testimonianza identitaria fra cultura, arte e storia, passato e presente
Una vita di esperienze
Carlo Bonomi, pittore, scultore ed architetto, riconosciuto dalla critica d’arte come uno fra i massimi esponenti del nostro Novecento Italiano, nasce a Turbigo, comune della provincia di Milano nella Valle del Ticino, nel 1880. A 18 anni inizia a frequentare l’Accademia di Brera, incontrando alcuni esponenti di spicco dell’ambito artistico milanese, quali Carrà, Barilli e Castiglioni. A seguito di una breve parentesi romana, soggiorna a Monaco di Baviera, dove conosce le opere dei maestri Lembach e Stuck, prima di rientrare nuovamente in Lombardia.
Dopo la prima guerra mondiale, che lo vede arruolato al fronte come volontario osservatore nelle prime linee in Cadore e sul Monte Grappa, ritrae tragedie e sofferenze; espone alla Mostra degli ex Combattenti a Monza, l’opera I Prigionieri, una tela dipinta ad olio, di grandi dimensioni, nella quale esprime la sua totale rivolta contro la brutalità della guerra.
Un’esperienza, quella della guerra, che segna profondamente la vita dell’artista. Vedendo direttamente il dolore dei poveri contadini mandati a morire in guerra, come in una sorta di ribellione davanti a tanta crudeltà e desolazione, ebbe la forza di vincere la sua timidezza e di esporre dunque le sue opere che portavano in seno un alto valore simbolico.
La realtà della sua pittura
Influenzato dal simbolismo di Segantini e Pellizza da Volpedo, si dedicò anche ai temi del paesaggio, delle figurazioni popolari della sua terra e del socialismo umanitario. Tra le sue opere più celebri si possono annoverare: La Sinfonia Pastorale che riprende il tema della madre che allatta il bimbo in grembo fra il calore delle pecore all’alba; I Prigionieri Crocifissi di Mauthausen, pietra miliare del suo svolgimento artistico; L’ombra della Croce, in cui viene espresso il concetto di Redenzione dell’umanità all’ombra della Croce; Il Trasporto del Cristo, umanizzato nella figura del lavoratore, che viene trasportato fra la folla come nel celebre dipinto del Quarto Stato di Pellizza da Volpedo.
Uno scultore che edifica
Nel 1915 inizia a dedicarsi in particolare modo alla scultura, avendo contratto un’allergia ai colori, arte che diviene da questo momento in poi, la forma più continua della sua espressione artistica. Nella sua copiosa produzione, l’artista non viene mai meno ad alcuni tratti che contraddistinguono la sua opera : una malinconia rassegnata, ma piena di pura commozione, un’austerità che esprime un dolore ritenuto intimo e non teatrale, un’umanità posata, che procede per velature e rifugge dalle tinte forti, una religiosità di natura laicale, concentrata sui valori dell’umana esistenza.
Bonomi non plasma, ma edifica e costruisce la propria opera trascurando il particolare, pensando alla materia dell’opera stessa per farle acquisire un’anima, un’armonia con lo spazio, la luce ed il tempo.
Le sue opere scultoree sono presenti in differenti luoghi pubblici e cimiteri o in collezioni private, fra i quali, si ricordano: il Cimitero Monumentale di Milano o quelli di Busto Arsizio, Gallarate e Turbigo, nonché i giardini pubblici di Novara. La sua fama è legata intrinsecamente soprattutto al tema della maternità, con La Mater, bronzo realizzato nel 1915 e perfezionato successivamente (1923-48), che rappresenta la donna generatrice di vita ed amore, che stringe il piccolo a sé, in un intenso scambio emotivo. Presentata alla prima Mostra del “Novecento Italiano” alla Permanente di Milano del 1926, animata da Margherita Sarfatti. Tale opera fa di Bonomi “uno scultore assoluto, nel quale essenza ed esistenza coincidono, inquadrandolo così tra i grandi scultori del Novecento la cui integrità formale è pressoché unica e trova il perfetto equilibrio tra pittura e scultura, con la stessa continuità ideale affermata da Michelangelo” (rif. V.Sgarbi, Il Novecento, vol. 1, 2018, pagg. 158-165).
Architetto poliedrico
Bonomi è stato anche architetto, con un’attenzione particolare ai materiali e alla plasticità che esprimono: restaura il Castello di Turbigo ed il Broletto di Novara, progetta e realizza Piazza San Francesco di Turbigo, gioiello compositivo architettonico a catino centrale decrescente, con fontana ottagonale, sulla quale sono scolpite a grandi lettere le ‘laudi’ del Santo e sulla quale è posto il suo San Francesco, con una nobiltà espressiva del monumento consona all’umiltà che onora la povertà di Francesco stesso.
Negli anni ’20 costruisce a sua immagine e somiglianza, nel suo paese nativo, il suo eremo, La Selvaggia, nome ispirato da “Selvatico è chi si salva” – celebre detto di Leonardo Da Vinci – in cui realizza i propri studi di pittura e scultura, una vera cittadella in pietra, in cui ancora oggi vengono raccolte le sue opere e dove, nella Gipsoteca, che ricorda quella di Possagno del Canova, è possibile ammirare i bianchi, puri, gessi delle sue sculture.
Patrimonio artistico riconosciuto a livello italiano ed internazionale, la residenza, conservata e abitata dai successori di Bonomi, trasmette ancora oggi il messaggio di un artista che non si è mai curato delle mode, delle correnti, ma la cui ispirazione è sempre stata l’umanità della sua gente, la forza del lavoro, la libertà della propria espressione.