Nel 1972 il cantautore Giorgio Gaber scriveva che “la libertà non è star sopra a un albero, non è neanche il volo di un moscone, la libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione”.

È a questa definizione di libertà cui noi vogliamo fare riferimento. La libertà non è fine a se stessa né è una condizione costante e immutabile della nostra vita, ma può diventare mezzo condiviso e scopo in uno spazio comune in cui sono proprio l’impegno sociale e politico a mantenerne vivo il vero significato.

Diritto o dovere 

Nel nostro Paese questa possibilità ci è concessa dallo Stato attraverso il diritto al voto; diritto che assicura ad un individuo la possibilità di votare durante un’elezione. Perché ad oggi molte persone decidono allora di privarsi di tale diritto? Che sia anche questa una forma di libertà?

L’astensionismo al voto è un fenomeno che in Italia vede un numero sempre crescente di adesioni, con massima espressione negli ultimi anni, culminante in una percentuale pari ad un terzo della popolazione italiana avente diritto, ovvero «… tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età. …» (art. 48, Costituzione).

Astensioni voto

Come sancito dalla nostra Costituzione, in riferimento all’art. 48, «[…] Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico. […] Il diritto di voto non può essere limitato se non per incapacità civile o per effetto di sentenza penale irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati dalla legge.»

Si deduce, dunque, che quello al voto, è un diritto ed un dovere di ogni cittadino che, in quanto uomo libero, è tenuto e non può, salvo casi eccezionali, essere limitato dall’esprimere, quando richiesta, la propria opinione per il paese, attraverso lo strumento del voto.

Ma allora perché c’è chi decide di rinunciarvi? Per quale motivo una persona, libera di pronunciarsi a proposito di una questione che la riguarda, dovrebbe privarsi di un diritto che le viene concesso?

Le motivazioni usate dai cittadini italiani, per “giustificare” la propria scelta di non andare a votare, sono diverse, per la maggior parte ricollegabili alla disinformazione, ma anche legate all’impossibilità pratica.

Semplice disinteresse…

Per quanto riguarda quella fetta di popolazione che si esenta per semplice disinteresse, la questione cela un dualismo intergenerazionale: da un lato coloro i quali hanno già maturato ideologie ed interessi politici nel corso degli anni, dall’altra invece i giovani agli esordi.

I primi infatti, si dicono stanchi di un sistema politico che non riesce a cambiare, che nonostante il succedersi di nuove figure al potere, finisce con il ricalcare sempre gli stessi errori, arrivando al punto di autoesonerarsi piuttosto che subire l’ennesima delusione.

Questo “modus operandi”, applicato in contesti familiari, potrebbe però ricadere su membri più giovani e inesperti del nucleo. Molto ragazzi, infatti, influenzati dalle opinioni di genitori e famiglie, non hanno la possibilità di venire a contatto con il mondo della politica in maniera autonoma, non riuscendo a sviluppare un proprio pensiero finendo per disinteressarsi rinunciando a votare.

…o forma di protesta?

D’altro canto, una contingente porzione giovanile vede nell’atto della rinuncia al voto un’espressione di protesta: “Non penso che lo Stato Italiano fornisca ai giovani i mezzi e opportunità per approcciarsi alla realtà politica” – Marco, 19 , Busto A.

“Votare è inutile, la mia opinione risulterebbe comunque irrilevante” -Asia, 18, Busto A.

“I politici non pensano a portare avanti campagne elettorali che ci rappresentino, nella completa incuranza dei nostri bisogni. Astenermi è un atto di ribellione”. -Camilla, 21, Busto A.

Nella scelta di non esprimere preferenza cambia, dunque, il modo in cui si intende esprimere la propria decisione. Tra coloro che non si recano al voto infatti è impossibile distinguere coloro che rinunciano per protesta non sentendosi rappresentati dai partiti e coloro i quali non votano per disinteresse.

Quando l’astensione non è una scelta

Per quanto il diritto di voto sia, dunque, una libertà concessa oltre che una necessità richiesta, c’è anche chi, pur volendo adempire a questo dovere, si trova impossibilitato nel farlo.

È il caso degli studenti e dei lavoratori fuori sede. Chi abita in un comune diverso da quello di residenza sarebbe obbligato a tornare a casa per poter votare. Le persone sono così costrette a viaggi infiniti dai costi molto elevati.

Quasi 5 milioni di italiani rischiano ad ogni elezione di non poter votare. Sono appunto i fuori sede, principalmente giovani tra i 18 e i 35 anni, che vivono lontani dal loro comune di residenza per studiare o lavorare, quali compongono circa il 10% del corpo elettorale del paese. Ma se ad alcune categorie, come militari e forze dell’ordine, lo stato concede di votare nel comune di domicilio, tutti gli altri sono costretti a tornare a casa, per colpa di una grave mancanza politica che non ha mai trovato soluzioni alternative per permettere loro di esercitare facilmente il diritto di voto.

Quando si parla di astensionismo si tende, infatti, quasi sempre, a scaricare la responsabilità sui singoli senza considerare l’astensionismo involontario che dipende dall’impossibilità di recarsi alle urne a causa di impedimenti fisici o materiali.

– Liceo Scientifico A. Tosi, Busto Arsizio

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