La storia dell’Afghanistan raccontata attraverso le parole di Khaled Hosseini
Definire l’attuale situazione dell’Afghanistan “tragica” sembra quasi un eufemismo. I recenti avvenimenti, che hanno visto l’America abbandonare il suolo afgano e i talebani riprendere il potere in un battito di ciglia hanno riportato quel travagliato territorio sui nostri schermi, nelle prima notizie in onda sui telegiornali, e le immagini che ci hanno riportato sono di una violenza che ci spinge quasi a chiudere gli occhi. Miliziani che girano per le città armati di mitra, folle accalcate negli aeroporti, uomini e donne che arrivano ad affidare i propri figli neonati ai soldati, affinché almeno loro possano trovare rifugio lontano da lì. Non sembra affatto un buon terreno da cui ricavare un libro, eppure è proprio ciò che lo scrittore afgano Khaled Hosseini ha fatto, e non una volta, ma ha realizzato ben tre libri di enorme successo. Libri che raccontano la storia del popolo afgano, il suo popolo, senza lesinare sui terribili dettagli della sofferenza che li ha segnati e li segna da tempo immemore, ma senza neppure nascondere la grande bellezza e il grande fascino che questo popolo reca nelle sue origini, una bellezza trasfigurata dalla guerra, ma che tuttavia farebbe invidia a tutto il mondo, se soltanto per un momento si potesse cancellare tutto l’odio e la violenza che le hanno permeate.
Tra i tre romanzi, il capolavoro sicuramente è rappresentato dal pluripremiato “Il cacciatore di aquiloni“, opera di grande successo che racconta la storia del giovane Amir, ragazzo di buona famiglia, che a causa dello scoppio della guerra nel 1981 è costretto a fuggire dalla sua terra, lasciandosi dietro una grande vergogna, che però il tempo lo costringerà a riaffrontare. Centrale nel romanzo è l’amicizia tra il giovane Amir e Hassan, figlio del servo di suo padre e suo coetaneo, che tuttavia lui non arriverà mai a chiamare amico, in quanto è di etnia hazara, ovvero originaria della Mongolia, un gruppo etnico che un tempo costitutiva più dell’80% della popolazione afgana, ma che in seguito ad una serie di persecuzioni e addirittura un intero genocidio nel 1893 da parte di un capo pasthun, etnia a cui appartiene Amir, ora costituisce una minoranza all’interno dell’Afghanistan. Per quanto terribile, la parola “genocidio” non ci è estranea, sono molti gli stermini di massa che sono stati perpetrati nel corso della storia da un popolo contro un altro popolo, per quanto molti di essi siano passati in sordina. Le profonde spaccature all’interno delle varie etnie in Afghanistan sono più evidenti che mai, che possono essere anche all’interno di gruppi religiosi, come tra i sunniti e gli sciiti. Eppure, non è forse vero che gli uomini sono tutti uguali? Non è forse il concetto di razza superato da molti decenni, in quanto provato essere scientificamente errato? È forse corretto che alcuni uomini siano per natura servi di altri solo perché appartenenti ad una etnia inferiore?
Questo problema è visibile anche nel secondo romanzo, “Mille splendidi soli“, in cui però viene dato maggiore risalto alla condizione femminile sotto il regime talebano. Iconiche infatti sono le due protagoniste del romanzo, Mariam e Laila, due donne dalle storie estremamente diverse, che si trovano per una serie di eventi a essere mogli del ciabattino Rashid, un uomo violento che le costringe ad anni di soprusi. La vicenda viene raccontata in tutti i suoi dettagli, talmente crudi da sembrare quasi esagerati, è in realtà fin troppo realistica. Infatti spesso stentiamo a credere quanto effettivamente la condizione femminile sia vessata nei paesi come l’Afghanistan, condizione che addirittura peggiora sotto il regime talebano, per quanto sembrava che non potesse esistere di peggio. I talebani utilizzano la religione per negare alle donne i più basilari diritti, come quello all’istruzione, ma anche a quello del poter raggiungere l’indipendenza, o anche solo il poter camminare tranquillamente per strada senza essere scortate da un parente maschio. Cose che sembrano talmente banali da non poter immaginare una realtà in cui esse ci sono negate, tuttavia esistono realtà in cui queste libertà sono state conquistate con il sangue e ancora adesso non costituiscono una garanzia sicura.
Infine, l’ultimo del tre libri, “E l’eco rispose“, è forse il più controverso dei tre, la trama è intrecciata, collega personaggi e vite molto distanti tra loro, che l’autore avvicina e allontana senza lasciare nulla di incompiuto. Storie di persone costrette a fuggire, allontanate dai propri cari, storie costellate da profonde lacerazioni, ma anche da momenti di gioia e ilarità. Un sottile invito a vedere i veloci fotogrammi che ci vengono mostrati alla televisione, pieni zeppi di volti trasfigurati dall’orrore, con una attenzione maggiore.
Essi sono infatti esseri umani come noi, anche se a migliaia di chilometri di distanza, uomini e donne che hanno una storia che merita di essere raccontata