Consumare la propria vita nell’attesa di quell’occasione che ci permetta di darle una svolta, in particolare per raggiungere fama e ricchezza, ne vale veramente la pena? È questa la morale che si intravede fin dalle prime pagine de Il Deserto dei Tartari, punto centrale della narrazione, noto al lettore grazie a un’esternazione dei pensieri e delle riflessioni del protagonista, Giovanni Drogo.
Il racconto si può considerare una biografia di Drogo e, sebbebe i personaggi, l’ambientazione e le vicende siano inventati, Dino Buzzati si ispira alla propria esperienza all’interno della redazione del Corriere della Sera; lì infatti la maggior parte dei cronisti e redattori aspettava per una vita la grande occasione per emergere, per scrivere lo scoop, concludendo spesso la carriera da anonimi. È a partire da questa reale esperienza che Buzzati elabora una complessa meditazione sul significato della vita di quando essa non sia realmente e pienamente vissuta.
Giovanni Drogo è un ragazzo che ha appena finito la Regia Accademia Militare ed è pronto a partire verso la rinomatissima fortezza Bastiani, cui è stato assegnato. Così inizia a malincuore il suo viaggio di allontanamento dalle amicizie, abitudini e complessivamente della vita di città, ma questo dispiacere è controbilanciato dal desiderio di arrivare a questa fantomatica fortezza… dopo due giorni di cammino in mezzo alle montagne si ritrova finalmente davanti a una modesta costruzione cinta da basse mura di pietra giallastra; non era così che aveva immaginato la grandezza della fortezza Bastiani: appena arrivato inizia ad avere dei dubbi in merito al fatto di poter fare carriera in quel posto, lontano da tutti e da tutto; la fortezza Bastiani era infatti posizionata alla fine di una valle che si affacciava sul confine settentrionale del regno, una pianura immensa chiamata anche Deserto dei Tartari dal nome della popolazione che si ritieneva avesse scatenato in un remoto passato una guerra lungo quel fronte.
Drogo, fatte le sue considerazioni anche sulla leggenda dei Tartari, da cui sicuramente non ci si aspettava un attacco imminente, mise subito in conto di fermarsi un paio di mesi soltanto, per poi farsi trasferire in città, per poter così continuare a divertirsi con gli amici, le ragazze, uscire la sera e stare vicino ai suoi cari.
Espone così i suoi piani al capitano in comando, il quale, apprensivo, gli conferma che avrebbe dovuto aspettare la visita medica di quattro mesi dopo che gli avrebbe permesso con qualche banale ragione di salute di essere trasferito in città.
Inizia così il calvario di quei pochi mesi passati ad aspettare di andarsene. Un giorno, parlando con i colleghi, scopre fatti sempre più inquietanti: la fortezza Bastiani in realtà non ha più alcuna importanza, viene mantenuta attiva solo per non lasciare un confine privo di difese; inoltre nessuno dei soldati lì presenti ha mai scelto di andarci, tutti sono stati assegnati e la maggior parte di loro, dopo i primi due anni di servizio hanno la libertà di scegliere se rimanere o no. Quel che più turba Drogo è ciò che si sente continuamente ripetere dai più anziani: di non abituarsi alla vita della fortezza e di non lasciarsi prendere e trascinare dalla vita al suoi nterno; di non sperare di rimanere per poter aspettare l’attacco dei nemici del nord, che probabilmente non sarebbe mai avvenuto. Gli anziani militari di stanza alla fortezza lo invitano a non ridursi come loro, rimasti soli per tutta la vita nell’attesa di una vana occasione che potesse dare una svolta alla loro carriera, consapevoli di aver così irrecuperabilmente perso ogni contatto con la civiltà urbana.
Lo strano fascino che risiede nella fortezza deriva dalla memoria di un glorioso passato lontano, animato da battaglie eroiche, è questo che induce gli uomini all’attesa di un nuovo grande evento che possa ripagarli di una routine quasi insensata. Malgrado ciò è questo fascino che spinge Drogo a scegliere di rimanere dopo i primi quattro mesi. Trascorsi i due tradizionali anni di servizio gli fu concesso, come da protocollo, un mese di licenza per permettergli di tornare in città e scegliere successivamente se essere confermato alla fortezza. È così che ci viene presentato un Giovanni Drogo inizialmente eccitato dall’idea di tornare nella sua città e dato per scontato che questo breve assaggio della vecchia vita gli avrebbe impedito di confermare il suo posto alla fortezza, ma ben presto si rende conto di essere completamente spaesato: gli amici hanno fatto carriera e non lo salutano né scherzano più con lui come prima, la ragazza che aveva pensato di sposare gli pareva che non avesse più la confidenza di una volta e che fosse una persona totalmente diversa, nella sua casa ormai abitava solo sua mamma perché tutti i fratelli si erano trasferiti; non ancora persa la speranza decide di andare a un ballo di sera in compagnia dell’unico amico rimastogli vicino, con l’auspicio di riuscire anche a sedurre qualche ragazza come ai vecchi tempi, ma nulla va come previsto, tanto che dopo appena qualche giorno decide di ripartire verso la fortezza e confermare il suo incarico: la vita di città non gli apparteneva più.
Intanto il tempo vola, passano mesi e anni, la maggior parte dei soldati arrivati dopo di lui se n’erano già andati e Drogo continua a pensare che la sua sistemazione sia provvisoria: si sente ancora giovane e in grado di cambiare idea; non dà retta a ciò che gli viene detto dai suoi superiori, cioè che sta sprecando i migliori anni della sua vita, che tanto non succederà mai niente degno di nota alla fortezza; gli viene ripetuto spesso di non commettere il loro stesso errore di cui si pentirà quando sarà oramai troppo tardi. Quello che Drogo non sapeva era che il suo destino era stato segnato nel momento in cui aveva visto la fortezza e il deserto alle sue spalle, si sentiva stranamente attratto da quel luogo e dalla speranza che venissero i nemici…
Un giorno una sentinella blocca Drogo e gli fa osservare col suo cannocchiale dei puntini neri che si muovono in lontananza, quando rendono partecipi i loro colleghi di questo fatto vengono derisi, ovviamente nessuno ci credeva, i Tartari erano considerati solo una leggenda, per rendere meno insignificante la vita nella fortezza. Drogo continua così l’osservazione per i fatti propri e giorno dopo giorno vede che stanno costruendo una strada diretta proprio verso la fortezza; dopo circa un anno la costruzione della strada termina ad appena un chilometro da essa, e così com’erano arrivati i Tartari spariscono. Alla fortezza si era rimasti parecchio stupiti e ora ci si aspettava un attacco imminente, per cui i livelli di allerta erano al massimo. Dopo pochi mesi che non si avvistava più niente si incomincia a ritornare ai soliti ritmi, si dimezza addirittura la guarnigione che presiedeva alla fortezza su ordine del comando centrale che notificava anche che non ci sarebbe stata alcuna guerra.
Drogo in cuor suo continua a sperare in questa guerra e intanto il tempo passa e lui sembra non accorgersene, infatti lo ritroviamo quasi vent’anni dopo, non particolarmente vecchio perché ha circa cinquant’anni, ma malato gravemente e costretto a letto, privo di forze; per ironia della sorte proprio in quel momento gli giunge la notizia dell’avvistamento dei battaglioni dei Tartari che avanzano rapidamente. Alla fortezza incominciano ad arrivare numerose truppe amiche di rinforzo e lui malato ed inutile viene forzato ad abbandonare la Fortezza Bastiani per recarsi in città a curarsi. Sulla via del ritorno, passa la notte in una locanda dove, alla vista di un neonato, gli tornano alla mente i ricordi di lui bambino e rimpiange una vita non vissuta…da padre.
Lasciato solo nella sua stanza ha tempo per riflettere sulla sua vita, era furioso: il momento tanto atteso e sperato era finalmente arrivato e lui era stato cacciato perché invalido, impedendogli di essere presente a quell’evento storico e di essere quindi ricordato, per prendersi almeno un po’ di merito, come uno dei comandanti che avrebbero contribuito all’impresa; capisce quindi che l’unica e ultima battaglia che gli rimane da combattere e a cui era destinato fin dall’inizio è quella con la morte, battaglia che non avrà mai esito positivo:egli non potrà mai sconfiggerla, quanto piuttosto potrà vincere la paura di morire; raggiunta questa consapevolezza si sistema su una poltrona e si lascia prendere dalla morte con un sorriso, andandosene così in modo dignitoso, affrontando a viso aperto il nemico, da vero soldato.
Giacomo Giani
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