Crisi e conflitti nel 2024: un quadro globale delle tensioni politiche e sociali nel mondo

Oceania e sud-est asiatico in fiamme

L’Indonesia dopo aver lottato per la sua indipendenza contro Paesi Bassi e Stati Uniti, riuscì a farsi riconoscere proprie due provincie della nuova Guinea, confinanti con la Papua Nuova Guinea. Nel 1962 annette queste province che volevano rimanere indipendenti e, dunque, scoppiò un conflitto tra governo indonesiano e movimento separatista papuano.

Nel 2022 le Filippine hanno scelto Marcos Jr. come loro presidente, figlio dell’ex dittatore Ferdinand Marcos, ed ha ereditato due nemici interni: gruppi terroristi jihadisti e guerriglia maoista. I jihadisti sono attivi nell’isola del Mindanao, parte musulmana delle Filippine. Nella parte centrale dell’arcipelago filippino, invece, è in corso dagli anni 90 una ribellione armata da parte di gruppi d’ispirazione comunista, che l’ex presidente Duterte ha definito gruppi terroristi nel 2018, riaccendendo le ostilità.

Movimenti insurrezionali di matrice islamica imperversano anche nelle province meridionali della Thailandia. Il re thailandese Vajiralongkorn oltre a questi insurrezionali, ha problemi più gravi al confine con il Myanmar (ex Birmania): dal 2021 è in corso una guerra civile, poiché il Tatmadaw (esercito nazionale) impedì la riunione del neoeletto parlamento perché a vincere le ultime elezioni era stata la Lega Nazionale per la Democrazia che non piaceva all’esercito, il quale appoggiava il partito rivale, il Partito dell’Unione della Solidarietà e dello Sviluppo. Arrestato il capo del primo partito e il generale del secondo partito si autoproclamò primo ministro e ha instaurato un governo provvisorio repressivo: dopo le prime ondate di proteste civili, si sono formate diverse unità arate; di recente è stata lanciata l’operazione 1027 condotta e sostenuta dal governo democratico clandestino, da eserciti “etnici” e dai gruppi ribelli che formano l’Alleanza della Fratellanza. Si tratta di una vasta serie di attacchi verso le posizioni dell’esercito nazionale che hanno creato molti problemi ai golpisti.

Conflitti in Asia Centrale

Nell’Afghanistan talebano è ancora attiva la resistenza dell’Alleanza del Nord: ma i talebani hanno un nemico interno anche nell’ISIS-K, una sedicente ramificazione dello stato Islamico attivo nella storica regione del Khorasan. In questo anno, lo stesso Afghanistan ha più volte dato l’impressione di voler muovere un attacco a sorpresa al confinante Iran, a seguito di diverse schermaglie al confine per una disputa sulle risorse idriche della regione.

Il Pakistan sta vivendo una situazione politica piuttosto instabile in seguito alla destituzione e poi all’arresto dell’ex primo ministro, con le nuove elezioni previste per Febbraio 2024. Tutto questo getta un’ombra i difficili rapporti col vicino afghano: Islamabad (capitale del Pakistan) ha deciso di deportare oltre confine il milione e mezzo di rifugiati Afghani e accusa Kabul (capitale Afghanistan) di proteggere e sostenere i militanti del TTP (i talebani pakistani). Infatti, dal 2024, il Pakistan sta portando avanti un conflitto contro diversi gruppi fondamentalisti islamici nelle regioni che confinano a Nord proprio con L’Afghanistan.

Anche in Bangladesh, Tajikistan, Kazhakistan, Kyrgyzstan ci sono conflitti latenti con gruppi islamisti.

Il traballante equilibrio dell’Eurasia

Con il 2024, il conflitto sfociato in seguito all’invasione russa in Ucraina entrerà nel suo terzo anno di ostilità; tra Israele e Palestina vi è una guerra con eserciti in marcia e bombardamenti su Gaza che l’hanno resa una piana devastata dalle bombe e la conta dei morti civili, tra cui migliaia di bambini palestinesi, è purtroppo, sotto agli occhi di tutti.

Questi due principali conflitti, però, hanno tolto l’attenzione da guerre meno conosciute ma non meno importanti.

In Yemen, la guerra scoppiata nel 2014 tra ribelli Houthi, sciiti e sostenuti dall’Iran, contro le forze governative nazionali del presidente Hadi, sostenuti da una coalizione a guida saudita. Definita guerra civile, si tratta in realtà di una guerra per procura con ai vertici di chi fomenta lo scontro nazioni maggiori come gli Stati Uniti.

Tra Iraq e Siria si continua a combattere quello che fino a poco tempo fa era nei riflettori giornalistici: l’ISIS. In Siria, vi è un’altra guerra civile dove vi è l’opposizione armata contro il presidente Bashar al-Assad e il governo nazionale ruotante attorno al partito sciita che va avanti ormai da parecchi anni. Un po’ più a nord il 2024 porterà subito un mutamento geopolitico non indifferente: dal 1° gennaio, la repubblica di Artsakh cesserà ufficialmente di esistere, diventando a tutti gli effetti territorio dell’Azerbaijan, una conseguenza inevitabile a seguito dell’offensiva lanciata lo scorso Settembre dalle forze azere, che ha costretto all’esodo la maggior parte della popolazione. Questa repubblica era uno stato a riconoscimento limitato tra Armenia e Azerbaijan, regione rivendicata da quest’ultimo che ritiene di avere la sovranità su quei territori. Tra anni 90 e anni 2000 ci furono due guerre, l’ultima nel 2020, in seguito alla quale l’esercito azero riuscì a impossessarsi di ampie parti di territorio; il 19 settembre 2023 l’Azerbaijan ha lanciato una nuova improvvisa offensiva che non ha lasciato scampo: dopo 33 anni la repubblica di Artsakh cesserà di esistere e l’Azerbaijan potrà esercitare la sovranità tanto desiderata.

Africa, una polveriera a cielo aperto

In Africa, vi sono stati due colpi di stato, uno in Niger e uno in Gabon, più uno sventato in Sierra leone.

Partendo dalla punta più orientale del corno d’Africa, va ricordata la quasi ormai 40ennale guerra civile in Somalia tra governativi e jihadisti di Al-Shabaab. La Somalia è un inferno a cielo aperto.

Dal 2020 si combatte anche in Etiopia tra governo federale, con sostegno eritreo, e i rivoluzionari del Fronte per la Liberazione del Tigray.

Ad Aprile, poi, è scoppiato un conflitto in Sudan tra fazioni opposte dentro la stessa giunta militare alla guida del paese; da una parte l’esercito fedele al capo di stato maggiore al-Buhran e dall’altra le milizie guidate da Mohammed Dagalo, le forze di supporto rapido.

Da decenni, ormai, la Repubblica Democratica del Congo deve vedersela con gruppi ribelli armati per il controllo delle regioni più ricche di materie prime. Una delle principali formazioni, è il movimento 23 Marzo, composto da ex militari e truppe fedeli all’ufficiale disertore Bosco Ntaganda, detto Terminator. Secondo Kinshasa (capitale), dietro questi ribelli potrebbe esserci il vicino Ruanda. Diversi conflitti regionali riguardano, infatti, proprio il confine orientale con Ruanda, Burundi e Uganda, spesso per il possesso dei ricchi giacimenti.

Il Mozambico ha entrambi i problemi: ribelli e terroristi. Con i ribelli del Renamo (Resistenza Nazionale Mozambicana) si è giunti ad una tregua nonostante i pessimi rapporti decennali con il partito al potere; i terroristi in questione al-Shabaab (non hanno nulla a che vedere con i terroristi somali). L’apparente conflitto religioso è in realtà soprattutto etnico. Se da una parte il gruppo più vicino al governo e ai suoi privilegi è l’etnia Makonde, cristianizzati, in molte parti del paese i gruppi di maggioranza sono i musulmani Kimwane e Makuwa.

Vi è poi il problema dell’Ambazonia, un territorio secessionista, senza alcun riconoscimento, del Cameroon, che dal 2017 lotta contro il governo nazionale per l’indipendenza in quella che viene definita “Crisi Anglofona”. I territori dell’Ambazonia sono ciò che resta del Cameroon britannico, che da anni chiede riforme in senso federalista e maggiore autonomia a garanzia della propria situazione socio-culturale.

Se il Sahel (regione africana) si è sempre più destabilizzato negli ultimi 10 anni è anche per merito del collasso di quell’attore regionale che per molto tempo ha influenzato gli equilibri: la Libia. Questo paese vive un delicato equilibrio politico dopo la tregua datata Ottobre 2020: essa continua ad essere spaccata in due, nonostante i tentativi di formare un governo unitario. Ad ovest a Tripoli (capitale) vi è un governo di unità nazionale, mentre l’est e il centro del paese resta sotto il controllo del governo parallelo della Camera dei Rappresentanti a Tobruk.

Le difficoltà dell’America Latina

In Messico, le sparatorie dei cartelli che hanno reso questo narcostato una nazione letteralmente in guerra e dove giornalisti e cittadini muoiono in grande numero giornalmente.

Quando si parla di America Latina, si racconta un mondo di guerra, citando Guyana e Esequibo; la Colombia ha tensioni sempre presenti e al confine con Panama, in quell’inferno dove si trova la giungla del darièn, dove migliaia di emigranti, spesso venezuelani (che fuggono da Maduro), percorrono chilometri di giungla passando nei territori dei Narcos per cercare di arrivare nel Nord America nella speranza di una vita migliore. Vi sono poi stati letteralmente falliti, come Haiti e Giamaica, che vengono devastante dalle bande organizzate definite anche “gangs”.

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