E tu, credi che Internet ci porterà alla pace?

Il big bang dell’informazione 

Ostici tempi degli anni quaranta dell’Ottocento, quando una nobil donna, splendida e sagace, creò un’invenzione degna dei termini a lei precedentemente riferiti: la programmazione. Questa fu la base della scienza dell’informazione che verrà applicata a dispositivi innovativi per diffondere il sapere. Tuttavia, quale fanciulla avrebbe mai pensato di scaturire un processo di possibili mali immorali? Di certo non Ada Lovelace, che nella sua ingegnosità, condurrà ad un altro atto di disonestà umana.

Giungendo alla contemporaneità, quella scoperta remota portò alla comparsa dei social durante il tramonto del Novecento. Quindi, piuttosto che farci dominare dagli istinti umani di egoismo, potremmo affrontare quei punti che, se applicati, porterebbero davvero a una situazione di maggiore quiete mondiale. 

I mass media hanno rivoluzionato il nostro modo di vivere, ma questi sono in continuo cambiamento. Immaginiamo di tornare indietro di venti anni: Apple non aveva ancora lanciato il suo primo IPhone. Facebook era ai suoi esordi. Instagram, Twitter, Telegram, YouTube -come lo conosciamo noi oggi- erano solo fantascienza. Così anche il giornalismo si è adattato ai vari social

Con l’avvento degli smartphone, si è segnato il declino dei giornali cartacei. Siamo dunque passati a testate giornalistiche online. Il nuovo orizzonte è quello del mobile journalism, ossia affidare alla foto il ruolo di raccontare una storia. 

Punti per una pace sanificatrice

L’imparzialità, per quanto ardua da raggiungere, sarebbe la prima qualità da applicare per la diffusione di informazioni, andando di pari passo con l’equità, che deve essere un requisito necessario nell’affrontare questioni delicate di indecisione di schieramenti. Basti pensare che i social connettono a velocità minime l’intero globo, dunque permettono anche lo scambio di informazioni tra persone comuni, che, secondo le norme del buon senso, sono le prime ad avere il diritto di esprimere le proprie esperienze. Un’ultima osservazione sarebbe da delineare nei confronti delle persone di potere, che se si valessero dei social per sensibilizzare ed educare sugli argomenti di attualità, genererebbero una maggiore presa di coscienza della società

Vulnerabilità dell’informazione digitale

Le informazioni sul web sono particolarmente vulnerabili, al punto che persino soggetti dalle minime conoscenze tecnologiche hanno la possibilità di creare siti e diffondere falsità. Quindi quali sono i metodi maggiormente adoperati nella manipolazione delle conoscenze online? Andiamo ad affrontarli:

  • Manipolazione delle piattaforme web: Algoritmi e meccanismi di raccomandazione utilizzati dalle piattaforme online possono contribuire alla creazione di “bolle informative”, dove gli utenti vengono esposti principalmente a contenuti che confermano le loro convinzioni preesistenti, contribuendo così alla polarizzazione sociale.
  • Attività di disinfluenza: gli utenti con intenzioni malevole, come governi o gruppi di interesse, possono impegnarsi in attività di disinfluenza, manipolando opinioni attraverso la diffusione di contenuti mirati o la creazione di troll e account falsi sui social media, tutto ciò con il fine di deviare opinioni su percorsi falsi.
  • Editing di foto e video: la manipolazione di immagini e video può alterare la percezione della realtà. La tecnologia avanzata può essere utilizzata per creare deepfake, cioè video manipolati in modo realistico, alimentando ulteriormente la diffidenza.
  • Astroturfing: questa pratica coinvolge la creazione di falsi movimenti o gruppi online per simulare il consenso pubblico su determinate questioni.

Come l’informazione può portare alla guerra

La guerra d’informazione, o information warfare, è una strategia militare per cui vengono utilizzate fake news, come immagini false ed eventi mai accaduti, allo scopo di trasferire un messaggio che vada in contrasto con la realtà corrente. Ciò serve sia per demoralizzare chi è vittima di notizie false, spesso diffamanti, sia per manipolare le masse, così da stordirle e ottenere il loro pieno riconoscimento.

Dato che è una forma di cyberwar, cioè di guerra digitale, essa è attuata al fine di avere un vantaggio informativo sul nemico, e si avvale spesso di media di massa e social media. Spesso ciò che succede digitalmente porta le sue ripercussioni anche in un piano reale e fisico.

La guerra d’informazione prevede infatti 7 forme, tra cui è presente appunto la cyber war. La guerra cibernetica utilizza quindi informazioni sensibili raccolte attraverso mezzi altamente tecnologici, per compiere danni reali (ad esempio l’intercettazione di dati e l’attacco alle infrastrutture critiche).

Di conseguenza, dato che i mezzi utilizzati sono tecnologici, il progresso informatico sempre più crescente porterà a delle guerre a loro volta sempre più aspre e altamente strategiche.

Basti pensare a come con l’intelligenza artificiale, ormai sia estremamente facile creare un’immagine totalmente fasulla e farla sembrare veritiera. Ovviamente adesso L’AI (artificial intelligence) è ancora in fase di perfezionamento, per esempio non riesce a rappresentare bene le mani o altri piccoli dettagli. Tuttavia è estremamente probabile che in breve tempo riuscirà a perfezionarsi sempre più, acquisendo maggiore pericolosità nel campo della manipolazione delle informazioni. Essa fortunatamente però, se utilizzata nei giusti modi e con importanti policy etiche che dovrebbero essere stabilite dalle aziende, può giocare un ruolo chiave nella velocità con cui vengono raccolte ed elaborate le informazioni, soprattutto nei piccoli giornali.

Immagine realizzata con l’AI

A seguito della guerra fredda, che aveva portato a una grande scarsità di risorse, stati come la Russia si sono concentrati molto sulla guerra d’informazione. Essa però è un’arma a doppio taglio. Se da un lato permette di risparmiare tante risorse, ha anche un suo lato negativo. È accessibile a tutti ed un esempio di ciò sono le due guerre in Cecenia, che hanno reso chiaro ai russi come, solo con i giusti mezzi tecnologici, anche un avversario relativamente piccolo può avere un grande predominio sull’informazione, trasmettendo un’influenza positiva sull’opinione pubblica.

Un altro esempio possono essere i bombardamenti nella striscia di Gaza, su cui sono state create parecchie immagini con l’intelligenza artificiale, poi spacciate per vere da molte testate giornalistiche.

Per approfondire:  https://www.fanpage.it/innovazione/tecnologia/adobe-ora-vende-le-immagini-dei-bombardamenti-su-gaza-ma-sono-fatte-con-lintelligenza-artificiale/

La piaga delle fake news

La disinformazione è una piaga che attanaglia il genere umano da secoli. Anche prima veniva usata in grandi dosi, sia in campo economico da grandi compagnie pubblicitarie, sia politicamente da governi e partiti.

Le novità sono tuttavia i mezzi di comunicazione di massa e i social media, che hanno ampliato la quantità di notizie e il pubblico sempre più vasto e generalizzato che raggiungono. Ciò, quando si parla di notizie false, è estremamente pericoloso. Esse vanno infatti a influenzare le grandi masse di persone, incitando a comportamenti ignoranti o addirittura illegali, basati su odio e pregiudizi. Quindi il lettore dovrebbe imparare nuovamente a distinguere le notizie vere da quelle false, ma in un mondo digitale dove è possibile falsificare quasi tutto rendendolo il più possibile verosimile, è sicuramente difficile. Ed è per questo che soprattutto il giornalista dovrebbe fare la sua parte, non ignorando l’etica che sta alla base della sua professione ma valorizzandola e rispettandola. Ormai purtroppo il valore del denaro ha superato per molti quello dell’etica morale, di conseguenza molti giornalisti preferiscono creare articoli “acchiappa click” piuttosto che controllare la veridicità delle fonti su cui scrivono. Spesso i giornali sono pieni di popup pubblicitari, che rendono quasi difficile la fruizione del contenuto stesso, coperto appunto dalle pubblicità. E ormai le notizie di gossip vanno estremamente di moda, quasi più di quelle serie. Queste ultime magari all’inizio vengono trattate in abbondanza, però allo stesso tempo non vengono approfondite con costanza e precisione, bensì vengono trattate in modo sconnesso e parziale; basti pensare alla guerra tra Ucraina e Russia a cui è stato riservato il medesimo trattamento. Piuttosto che concentrarsi sul concetto di pace, il cui ricordo è necessario in un contesto bellico, molti giornalisti si sono concentrati nel fare sensazionalismo su drammatici eventi di cronaca. Questo però è colpa anche del pubblico, talmente superficiale da farsi abbindolare da notizie false o comunque esagerate appositamente per fare scalpore, perdendo di vista l’importante: l’educazione alla pace.

Il giornalista però, se vuole educare davvero il pubblico, oltre a compiere un’accurata ricerca e a controllare minuziosamente la veridicità delle fonti da cui prende informazioni, dovrebbe praticare questi 7 principi: accuratezza, indipendenza, correttezza, riservatezza, umanità, responsabilità e infine trasparenza.

Tra i punti per una pace sanificatrice c’è l’imparzialità che, per quanto ardua da raggiungere, sarebbe la prima qualità da applicare per la diffusione di informazioni, andando di pari passo con l’equità, che deve essere un requisito necessario nell’affrontare questioni delicate di indecisione di schieramenti. Basti pensare che i social connettono a velocità minime l’intero globo, dunque permettono anche lo scambio di informazioni tra persone comuni, che, secondo le norme del buon senso, sono le prime ad avere il diritto di esprimere le proprie esperienze. Un’ultima osservazione sarebbe da delineare nei confronti delle persone di potere, che se si valessero dei social per sensibilizzare ed educare sugli argomenti di attualità, genererebbero una maggiore presa di coscienza della società.

Didascalia: L’Albero della Pace realizzato dai giovani pensatori nell’anno 2022-23.

Il giornalista ha quindi dei doveri, ma ha anche un diritto fondamentale: la libertà di stampa. 

La mancanza della libertà di parola, e quindi d’informazione, in contesti passati ma purtroppo anche attuali (in stati con forme di governo autoritarie come Corea del Nord, Cina, Vietnam, Bielorussia, Arabia Saudita ecc…) porta a conseguenze terribili. Secondo le statistiche di RSF (Reporters Without Border), nel 2021 sono 488 i giornalisti detenuti, 46 quelli uccisi e 65 quelli tenuti in ostaggio, oltre a 2 che sono momentaneamente spariti. E questi numeri si stanno sempre più moltiplicando andando avanti negli anni, dato che in questi paesi i mezzi tecnologici sono sempre più asserviti al controllo della popolazione piuttosto che alla libertà di parola e di stampa.

Ci sono invece paesi che hanno una stampa libera, cioè le testate giornalistiche nelle loro iniziative divulgative non devono sottostare ad organi più potenti, come lo stato stesso. Nella storia moderna una definizione comune del principio di libertà di stampa è stata formulata dalle Nazioni Unite nel 1948 ed è presente nell’articolo 19 della Dichiarazione universale dei diritti umani, insieme al diritto di libertà di espressione: “Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere.”

Lo scopo di una stampa libera è quello di assicurare che il popolo abbia il diritto di ricevere e diffondere informazioni che non siano manipolate o al servizio di una particolare persona, organizzazione o interesse. La stampa libera deve indagare soprattutto i potenti, ignorando conseguenze politiche ed economiche, e concentrarsi su temi difficili da trattare poiché basati su domande scabrose e nebbiose. Non è quindi possibile che ci sia una democrazia senza una stampa libera e questo è comprensibile già solo dall’etimologia stessa della parola democrazia; essa deriva infatti da demos (popolo) e kratos (potere). Di conseguenza il popolo deve avere un certo potere sul suo stato di appartenenza; le persone devono possedere dunque più informazioni possibili quando, per esempio, vanno a votare, in modo da avere più fonti accurate di ragionamento e dialogo. Dato che il potere decisionale, per natura in mano ai cittadini, viene ceduto e delegato a dei rappresentanti, la popolazione deve avere quindi degli strumenti per controllare e preservare questo potere.

Spesso si parla di guerra senza soffermarsi però sul suo antipodo: la pace.

In linea teorica, i social potrebbero essere un mezzo estremamente utile per condividere con più persone possibili dei messaggi positivi che educhino ad essa.Purtroppo quella moltitudine di disinformazione e censura, che vengono attuate odiernamente, ci stanno allontanando sempre di più da quest’obiettivo. Nonostante ciò, noi giovani, nei limiti delle nostre possibilità, dobbiamo credere e proiettarci verso un futuro utopistico di pace, per attribuirgli un minimo di speranza. 

Gaia Cortesi, Beatrice Ferrigato, Zoe Romano 

La fake news è fragile come le foglie di Ungaretti

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