Guerra e Pace, un conflitto osservato dallo schermo

Una giovane donna palestinese piange. Si filma e mostra il suo vicinato in fiamme. Spiega come da giorni i bombardamenti devastino Gaza. Non c’è più tempo, né possibilità, di restare lì. Lei e la sua famiglia devono scappare, spiega. Ci hanno provato il giorno precedente: tutto inutile. La ragazza implora pietà per il suo paese. Questa significativa esperienza di vita, che potrebbe sembrare tratta da un romanzo, è solo un esempio, una delle tante storie, presente in uno dei milioni di video che guardiamo ogni giorno. Cambierà il nostro punto di vista, forse. Oppure ce ne dimenticheremo nel momento in cui scrolliamo e qualcosa di più “interessante” ci si parerà davanti agli occhi.

Una panchina distrutta in centro città

L’algoritmo dei social e della visualizzazione dei video arriverà a proporre sempre più impulsi, video, foto, racconti, che influenzeranno irrimediabilmente, anche se a volte inconsciamente, l’opinione dell’osservatore. Il “Filter Bubble“, letteralmente bolla di filtraggio, è il risultato delle ricerche personalizzate in base al comportamento dell’utente. Più e più impulsi contribuiranno quindi a formare un’ opinione critica anche se non ci si è volontariamente documentati. E anche la sensibilità del lettore ne sarà condizionata.

La guerra non è poi così lontana

 “Il 40% degli italiani non si sente di prendere parte al dibattito riguardo questa guerra;  il 35% sostiene gli israeliani ed è profondamente scioccato da tutto quello che sta succedendo. Il 22,5% appoggia i palestinesi e il 3.5% non condanna Hamas”. Alessandra Ghisleri, giornalista e ricercatrice  spiega come questo conflitto sta toccando molto la sensibilità delle persone per tutti i morti e le stragi. Tuttavia, per motivazioni di carattere economico e sociale, come l’aumento del costo del petrolio e del grano, per gli occidentali è stato più semplice informarsi e provare compassione riguardo la guerra tra Ucraina e Russia.

https://www.youtube.com/watch?v=n_7LpzuK1ZU

Sulla base delle interviste fatte abbiamo riscontrato come le tecnologie e i social abbiano influenzato la diffusione delle notizie, nonostante sia presente una certa criticità riguardo l’affidabilità delle informazioni diffuse da questi. Alcune persone dubitano dei social perché in essi sono presenti notizie non veritiere, le “fake news“. Talvolta i social sono anche visti come uno strumento di schiavitù: non rendono liberi e condizionano le vite e le idee delle persone. Per altri ciò dipende esclusivamente dall’intelligenza e della capacità del singolo nel non diventare dipendente da questi; per altri ancora è un fatto inevitabile. 

La guerra viene vista come un affare “sporco e molto economico” e “un vero e proprio fallimento”, necessario da debellare per ovvi motivi. La guerra israelopalestinese viene percepita come un fenomeno complesso, che si è rivelato inevitabile per i rapporti Internazionali negli anni passati.

La nostra società sembra vergognarsi di parlare e di esprimere un proprio pensiero su questa guerra; la propaganda della politica sta puntando contro le masse palestinesi pretendendo di portare avanti una causa e di darle voce alimentando odio e ignoranza di chi prende per vero tutto quello che esce dalle bocche dei politici.

Scrivere la Storia senza confini

La libertà di stampa, contrariamente a quanto si possa credere, non è un’invenzione dei filosofi, ma è regolamentata da alcune delle carte fondamentali dell’ordinamento internazionale: nell’articolo 19 della Dichiarazione Universale per i diritti umani, nell’articolo 21 della Costituzione Italiana e nell’articolo 10 Convenzione Europea dei diritti dell’uomo.

In questi articoli è stabilito che ogni cittadino ha il diritto di diffondere e pubblicare notizie ed immagini senza alcuna interferenza o contrasto da parte di terzi e che l’oggetto pubblicato non può essere manipolato da enti o persone esterne.

La libertà di stampa è fondamentale per il funzionamento di una democrazia, ordinamento nel quale il potere è in mano al popolo che deve essere consapevole di quello che accade all’interno dello stato stesso. Grazie a questo diritto i cittadini possono votare in maniera consapevole, una volta  informati dei problemi reali dello stato, con l’obbiettivo “sorvegliare” ciò che succede in seguito ad una elezione di un qualsiasi organo come il governo.

Informare è formare

Il confine tra ciò che è concesso scrivere e quello che non è corretto pubblicare è labile. Sempre più attenzione viene puntata sull’impressione, sull’emotività che una notizia è capace di scatenare. A volte oltrepassando i confini concessi. E quando ciò succede, alla fine, il significato “bombarda” le menti dei lettori, o ancor più degli osservatori, condizionando irrimediabilmente la loro opinione riguardo una questione delicata come la guerra.

Osservando l’immagine, o la notizia di bambini o uomini le cui vite sono state sottratte dai soldati, la reazione è abbastanza naturale: pensare alla disumanità, alla crudeltà dell’esercito è spontaneo; attribuire loro le colpe della sofferenza di un intero popolo é facile. Ancora di più lo è decidere arbitrariamente da che parte stare. In questo modo i mass media, i social, il giornalismo, orientano le opinioni delle grandi masse, spesso ignoranti in materia e perciò facilmente influenzabili. Viene fornita, in questo caso, una vera e propria visione semplicistica, aumentando le divisioni e la violenza. E i tentativi di dialogo e l’impegno di coloro che cercano soluzioni e vie d’uscita? Giacciono trascurati.

Ciò che è necessario considerare è il fatto che una singola storia non rappresenta a pieno tutta l’esperienza di guerra in atto ma solo una delle molteplici realtà complesse del conflitto, in un tempo e in un luogo preciso.                         

C’è bisogno di un cambio di prospettiva, un resoconto più oggettivo, visto dagli occhi di chi porta significati volti non ad influenzare, ma con l’obiettivo di far comprendere ad altri la questione in merito alla quale si è così esperti.

Per rispondere a questa esigenza è nato il movimento del giornalismo di pace, un modo di agire ostile alle falsità, alle grandi dichiarazioni e con l’obiettivo di instaurare contatti umani anche con coloro che spesso non hanno voce o libertà di esprimere le proprie opinioni. Un giornalismo volto a individuare le cause e le possibili soluzioni dei conflitti. Consiste in un’analisi controllata, se vogliamo “fredda” del conflitto, partendo dal presupposto che sia una condizione inevitabile per popoli che convivono.

Spesso le cause di queste guerre sono profonde, ritrovabili nella cultura delle società coinvolte. Il movimento si impegna a dare voce alle persone comuni, raccontando sì la violenza, ma quella che deriva non dal conflitto in atto, ma dal contesto strutturale in cui l’aggressività si innesca. L’obiettivo è rendere il giornalismo trasparente, dicono gli esperti. Deve essere “scomodo” non solo per chi ricerca la guerra, ma anche per coloro il quale obiettivo è la pace, in una vera e propria analisi critica. È il giornalismo alternativo del volontariato e delle ONG.

Papa Francesco spiega che il giornalista, nel mondo contemporaneo, svolge una vera e propria missione, tenendo conto che a ricevere la notizia non ci sono numeri o reazioni emotive, ma persone. Informare è formare, è avere a che fare con la vita delle persone” e per farlo, è necessario mettersi in discussione, con il proprio stile e le proprie convinzioni.

Il silenzio delle guerre

E’ facile parlare di educazione alla pace, di libertà e di uguaglianza quando le guerre non ci toccano direttamente, non permettendoci di immedesimarci in chi vive nella sofferenza e nella povertà. Spesso ci ritroviamo a scorrere le notizie sui nostri cellulari, sentirle sui telegiornali e leggerle sui quotidiani in maniera passiva, esprimendo di tanto in tanto parole di dispiacere. C’è chi le evita, con la scusa di essere facilmente impressionabile, ma in realtà si sente punto nel vivo: soggetti delle notizie sono proprio persone come noi.

Parlando realisticamente, non potrà mai esserci pace fin quando sono presenti delle disuguaglianze così marcate fra le varie nazioni: certe persone hanno tutto mentre altre non hanno niente, nemmeno i diritti umani.

La Pace senz’altro è il bene più grande che l’umanità possa desiderare, ma è stata tante volte negata da conflitti e guerre civili. Nel passato la guerra ha costituito lo strumento principale per risolvere le controversie; solo di recente la maggior parte delle persone ha potuto godere di un lungo periodo di pace perché a differenza di ciò che i media vogliono farci credere, sfruttando l’emotività del pubblico, in realtà al giorno d’oggi le guerre sono notevolmente diminuite.

Riflessi distorti dalla percezione famigliare

Un breve video, cui la protagonista è la figlia di Limor Son Har-Melech, una parlamentare israeliana, sottolinea come i social possano creare fratture culturali insanabili. Limon, nella registrazione, chiede ai propri figli cosa vorranno fare da grandi e sua figlia, di appena 4 anni, risponde con un sorriso: “Da grande sarò un soldato così che potrò uccidere tutti gli arabi” e la madre, felice di questa cosa risponde: “Eccellente!”. I valori famigliari, trasmessi dalle sono profondamente assimilati dai bambini e i social, in questo secondo caso, possono essere considerati strumenti di diffusione di contenuti pro guerra. 

https://www.youtube.com/watch?v=giCPJw5Su2k

Madre e figlio che camminano per strada mano nella mano

 

Costruire ponti o muri?

In conclusione, il rapporto fra i social media e il giornalismo durante i periodi di guerra può arrivare a sensibilizzare e mobilitare la società verso la pace, e allo stesso tempo, per evitare la manipolazione dell’opinione pubblica, è cruciale l’utilizzo con una certa responsabilità. La libertà di stampa, se guidata da ricerca della verità e buon senso, può emergere come una forza costruttiva per la pace e per la diffusione di informazioni fondamentali.

Galleria

BIBLIOGRAFIA:

1. https://www.ucsi.it/news/eventi/13055-il-giornalismo-di-pace,-oggi.html

2. https://www.corriere.it/editoriali/23_ottobre_29/pregiudizi-d-occidente-palestinesi-df46fa20-768a-11ee-97ac-bb749494f7ad.shtml

3. https://www.studenti.it/tema-sulla-pace.html

4. https://www.liberties.eu/it/stories/liberta-di-stampa/43809

5. https://www.dirittoconsenso.it/2021/10/16/la-liberta-di-stampa/

6. https://vm.tiktok.com/ZGe1FC9nT/

7. https://vm.tiktok.com/ZGe1FPKPN/

8. https://vm.tiktok.com/ZGJooNcfJ/

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