LIBERTÀ È PARTECIPAZIONE?
La libertà è partecipazione. Essere liberi non significa fare tutto ciò che si vuole, significa essere soggetti attivi di ogni decisione che ci riguardi, e ciò si tramuta quindi nella possibilità di partecipare.
Rousseau, alla fine del suo percorso riflessivo, riconosce che la libertà non è qualcosa che l’uomo ha già di natura, ma va conquistata e continuamente esercitata. Essa può essere esercita nella vita politica ed essenzialmente in quell’atto fisico–morale rappresentato dalla partecipazione. Nel “Contratto sociale”, opera a tema politico sociale, il filosofo descrive il modo in cui dovrà essere costituita questa società del futuro e come gli individui, attraverso essa, raggiungeranno la loro realizzazione. Essi dovranno rinunciare ai loro interessi particolari cedendo tutti i loro diritti allo stato, il quale è rappresentato dalla volontà generale. In questo modo, tutti saranno partecipi del perseguimento di un interesse comune che trascende la somma dei loro interessi individuali e potranno finalmente essere realmente liberi.
Un problema fondamentale dell’esistenza umana, non possiamo negarlo, è quello di poter realizzare quell’esigenza naturale di essere libero. Nel corso della storia, è stato dimostrato che la libertà non può e non deve essere negata per nessun motivo e, quindi, si è stato necessario trasformarla in un diritto umano inviolabile a tutela di ciascun individuo, senza alcuna distinzione.
Ben presto si è sentita la necessità di limitare la libertà, in quanto era nata come il diritto di fare ciò che si vuole. Sono state introdotte delle restrizioni che vanno rispettate al fine di tutelare la libertà di ciascuno di noi. La frase di Gaber, sotto questo aspetto, diventa molto significativa in quanto ci porta a comprendere che la vera libertà si realizza nel piacere di perseguirla attraverso un atto di partecipazione di unione e non di distacco dall’altro.
Ormai ognuno di noi considera la libertà come qualcosa di scontato, e spesso non ne riconosce il valore effettivo. “Libertà è partecipazione” esprime ciò che la libertà è e ci offre anche in ambito politico, cioè che siamo liberi di votare, di eleggere, di partecipare attivamente per il miglioramento della comunità. Libertà di esprimere il proprio consenso o dissenso verso qualcosa e qualcuno.
In ambito politico la libertà la ritroviamo nella possibilità di votare, ma ultimamente la crescita dell’astensionismo ci preoccupa poiché è un evidente segnale di malessere, che riguarda tra l’altro una fetta consistente dei giovani elettori: esso va però analizzato con estrema attenzione, in quanto esprime atteggiamenti e sentimenti molto diversi, in alcuni casi assimilabili al rancore e alla sfiducia verso la politica che riguarda moltissimi cittadini italiani, anche chi va a votare.
Ma perché sta aumentando l’astensionismo in Italia? Da molti anni a questa parte ad ogni tornata elettorale l’affluenza alle urne cala. Succede a tutti i livelli: politiche, europee, regionali, comunali. Non siamo il solo paese in cui questo accade. Questo fenomeno è una componente del problema generale della crisi della democrazia. Anzi in Italia i livelli di partecipazione alle politiche sono ancora tra i più alti in Europa. Tanto per fare un esempio recente in Francia alle legislative svoltesi domenica 12 giugno ha votato il 47,5% degli aventi diritto. Da noi alle ultime politiche ha votato il 72,9% degli elettori. In queste nostre comunali ha votato una percentuale di elettori, circa il 55%, superiore alle politiche francesi. Questo per mettere in prospettiva il fenomeno. Non esiste un unico motivo per cui sempre meno elettori vanno a votare. Ma tra i vari fattori esplicativi occorre metterne in rilievo soprattutto uno che abbiamo indirettamente già citato a proposito dei referendum: la crisi dei partiti. Al tempo della Prima Repubblica i partiti svolgevano una funzione essenziale di socializzazione, di informazione e di mobilitazione. Non è un caso che l’astensionismo sia cominciato a crescere sensibilmente dall’inizio della Seconda Repubblica dopo il tracollo dei partiti che erano stati i protagonisti della Prima. Il crollo della fiducia nei partiti ha portato con sé il crollo della partecipazione. A livello di elezioni politiche tra quelle del 1994 e quelle del 2018 l’affluenza è calata di quasi quattordici punti percentuali. A livello di elezioni europee è calata di più e lo stesso dicasi ai livelli inferiori. La crisi dei partiti spiega molto ma non spiega tutto. Anche la demografia ha il suo peso.
Le persone più anziane e socializzate in tempi in cui partecipare era una abitudine radicata o addirittura un dovere escono di scena e i giovani che entrano nel mercato elettorale sono meno interessati alla politica e tendono ad astenersi. Se i partiti non recupereranno credibilità e capacità organizzativa e se non si affronterà seriamente il tema della educazione alla democrazia la disaffezione nei confronti della politica è destinata a continuare e con essa l’astensionismo.