Sport negato alle donne afghane, una decisione disumana

Donne e sport in Afghanistan: Zakia e Nilofar sono al sicuro ma si teme per le cicliste rimaste a Kabul

Lo sport dopo l’arrivo dei talebani, le donne escluse da ogni attività sportiva

Tra le numerose restrizioni, imposte alle donne afghane, il governo talebano ha stabilito l’impossibilità di praticare attività sportive, sostenendo che non sia necessario e utile per queste ultime avere la libertà di coltivare la loro passione sportiva. La commissione per la cultura considera questa attività dannosa per la figura femminile, in quanto parti del viso e del corpo potrebbero essere scoperte ed esposte agli occhi di tutti, un aspetto inaccettabile per la cultura maschilista talebana.

So che, quando questa guerra sarà finita, l’Afghanistan avrà forse più bisogno di donne che di uomini. Perché una società non ha nessuna possibilità di progredire se le sue donne sono ignoranti, nessuna possibilità”

Dal libro “Mille splendidi soli”

di Khaled Hosseini 

Lo sport un diritto internazionale: 

La Conferenza delle Nazioni Unite ha realizzato e approvato la “Carta Internazionale per l’Educazione Fisica, l’Attività Fisica e lo Sport”, la quale rientra tra i diritti fondamentali dell’uomo, riconosciuti dall’ONU. L’articolo 1 definisce chiaramente che: “ La pratica dell’educazione fisica, dell’attività fisica e dello sport è un diritto fondamentale per tutti, senza alcuna discriminazione di genere, sesso e cultura”. 

Questo principio è stato pienamente rispettato dopo la caduta del primo regime talebano, portando ad uno sviluppo esponenziale dello sport femminile afghano negli ultimi vent’anni, soprattutto in discipline come il ciclismo. 

Tutto però è cambiato dopo il ritorno al potere dei talebani, sono stati cancellati tutti i notevoli passi in avanti, resi possibili proprio grazie alle donne afghane, le quali non si sono mai fermate davanti alla violenza ingiustificata degli uomini talebani. 

Dalla fuga al sogno olimpionico

Il ritorno dei Talebani ha spinto molte atlete a lasciare la loro terra, per rincorrere quel sogno tanto atteso: le Olimpiadi. Molte sono le storie di sportive che in vista delle Paraolimpiadi di fine agosto 2021, grazie ad aiuti umanitari offerti da paesi  come Spagna e Australia o da organizzazioni internazionali come l’ONU, sono scappate dal loro paese, perché consapevoli dell’ostilità talebana verso lo sport femminile. 

Celebre ormai è la storia della giocatrice di basket Nilofar Bayat, rimasta invalida proprio a causa dell’esplosione di un razzo talebano vicino alla sua abitazione, all’età di due anni, che le ha causato un permanente danno alla colonna vertebrale. Il suo impegno concreto per i diritti delle donne non si è mai fermato, anche se per poter partecipare alle Paraolimpiadi di Tokyo è stata costretta a raggiungere la Spagna, dove si è sentita per la prima volta veramente libera.

La scelta e la tragica fine di Mahjabin Hakimi 

Purtroppo tante sono le storie di atlete che non ce l’hanno fatta e hanno subito la ferocia talebana, come la pallavolista Mahjabin Hakimi, una ragazza di soli 18 anni e membro della nazionale di pallavolo afghana, che è stata decapitata senza alcuna pietà perché aveva scelto di giocare senza indossare l’hijab, il tradizionale velo islamico. Una morte ingiustificata e ancora oggi da chiarire, dato che il governo talebano smentisce di essere il vero colpevole dell’uccisione. 

L’azione dei talebani, infatti, è ora incentrata sulla ricerca di tutte quelle atlete partecipanti a eventi sportivi internazionali, che sono apparse in televisione e video trasmessi in tutto il mondo.

Quale sarà dunque il loro futuro? Lo sport femminile sarà mai libero?

Link al podcast: https://youtu.be/nFK3aJ6PSa4

 

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