Storia di un uomo che ha imparato a comprendere e a comunicare

 

E Johnny prese il fucile” non è una storia facile. Parla di amore, parla di guerra, parla di obiezione di coscienza. Un soldato che, in seguito ad un’esplosione di una bomba, si risveglia in ospedale senza braccia, senza gambe, senza più la capacità di vedere o di sentire. Vuole morire ma non può parlare.

Rappresentato al Cinema Teatro Nuovo con il patrocinio del festival Glocal, questo dramma vuole sperimentare delle nuove “nuove frontiere”, creare una nuova esperienza di teatro, in cui la radiofonia gioca un ruolo importante.

La sceneggiatura radiofonica di Sergio Ferrentino prevedeva che ogni spettatore, prima di accedere alla sala, fosse dotato di una radiocuffia. Senza la cuffia il teatro era muto, senza musica, senza nessun rumore di sottofondo, solo alcuni bisbigli in lontananza. È quando mettiamo le cuffie che entriamo nei pensieri di Johnny, esploriamo i suoi ricordi, viviamo nel suo personaggio.

La scenografia è povera, nessun oggetto di scena, solo una testa al centro del palco, attaccata a nessun corpo, esattamente come la testa di Johnny, entrambe incapaci di vedere o di sentire. Infatti dietro quella testa, che altro non è che un microfono, si nasconde il protagonista, che vediamo leggere (sì, leggere) le parole di Johnny.

Diventa una sorta di metateatro (o forse metaradio?) nel quale vediamo attori in uno studio di registrazione impersonare qualcun altro per uno di quei radioromanzi che andavano molto di moda negli anni settanta.

La situazione che ci si presenta diventa paradossale, noi siamo in grado di vedere uno spettacolo su un uomo che non vede, ovvero tutto quello che alla radio non vedremmo mai.

Il risultato è stato molto apprezzato, tra i lunghi applausi sicuramente molti hanno sperato che questo sia il primo di una lunga serie di sperimentazioni verso nuovi orizzonti in campo teatrale.

 

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