La doppia vita di Katherine

Inanimate, cortometraggio di Lucia Bulgheroni, aveva già trionfato a Cannes portando a casa oltre il terzo posto, una posizione di rilievo dell’Italia in campo cinematografico. Adesso, riproposto in sala per il festival Glocal insieme agli altri finalisti del contest “Noi ci siamo”, è stato senza dubbio quello che ha ottenuto maggior successo.

È la storia di una donna normale, che vive una vita normale dentro ad una relazione normale. E questa normalità però non è altro che una copertura, una falsa verità dietro alla quale nascondersi. Infatti, non appena Katherine, la protagonista del corto, osserva il mondo con occhi diversi, la sua normalità crolla: comincia a vedere la verità, a comprendere che la sua vita non è altro che una farsa, una vita di plastica.

Ogni gesto, ogni espressione, ogni parola, niente è volontario; tutto quello che succede succede perché è ciò che ha deciso una equipe di “uomini veri”, non più cartoni animati come Katherine o il suo ragazzo. Loro non sono altro che semplici pupazzi meccanizzati, nelle cui vene scorrono cavi e ingranaggi.

Questo corto, ispirato chiaramente ai racconti di Isac Asimov, vuole sottolineare lo stretto legame che esiste tra vita e tecnologia. Le due sono a volte separate da un divario così sottile che risulta difficile anche solo distinguere le due cose.

La regista Lucia Bulgheroni però si spinge oltre, indaga sui limiti della tecnologia chiedendosi se è possibile che l’uomo in futuro diventerà sempre più macchina fino a quando non sarà più possibile distinguere l’uno dall’altro. La nuova frontiera che ipotizza dunque è un confine invalicabile, non è altro che una premessa distopica su come potrebbe evolversi il futuro.

 

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